Sabato 8 giugno
ore 15,30 > incontro con Juan Carlos De Martin su
“la conoscenza condivisa:
open access come bene comune”
Juan Carlos De Martin tiene
il corso Rivoluzione Digitale presso il Politecnico di Torino, dove ha
co-fondato e co-dirige il Centro Nexa su Internet e Società. Dal 2011
è Faculty Fellow presso il Berkman Center for Internet & Society
della Harvard University
e Senior Visiting Researcher presso l’Internet and Society Laboratory
della Keio University di Tokyo. Dal 2005 al 2012 è stato responsabile
italiano del progetto Creative Commons. È editorialista de La Stampa e collabora con Nova-Il Sole 24 Ore.
È membro del Consiglio Scientifico dell’Enciclopedia Treccani. Nel 2012
ha curato, insieme a Melanie Dulong de Rosnay, il libro The Digital Public Domain: Foundations for an Open Culture (OpenBookPublishers).
Spettacolo Teatrale > PITBULL
regia Monica Franzoni e Riccardo Paterlini
testo frutto dell'attività laboratoriale
con Adriano, Alessandro, Amid, Angelo, Antonio, Bruno, Corrado, Michele, Stefano.
È possibile rieducare un Pit Bull? È possibile reinserire all’interno della cosiddetta società civile un cane che ha vissuto innumerevoli combattimenti, che ha subito ed inferto inenarrabili violenze?
Questo spettacolo nasce da questa controversa questione, lungamente dibattuta da etologi ed animalisti.
Il Pit, il cane da combattimento per eccellenza, per essere preparato al ring, subisce un addestramento infame: “catena e bastone, bastone e catena…” ai quali si aggiunge un massiccio uso di droghe e di stimolanti. Il Pit, perché distrugga il suo avversario, è sottoposto ad un processo di sistematica decostruzione dei limiti e degli argini naturali che ogni animale, compreso l’uomo, ha inscritti nel dna. La violenza diviene così una forza che si autoalimenta, che nutre sé stessa, seguendo una logica distruttiva ed autodistruttiva. Il Pit diviene una molla, “un fascio di muscoli e nervi pronto a scattare contr’a chicchessia”.
In scena a porre il pubblico di fronte al problema della rieducazione del Pit uno scopino della M.O.F.: un lavorante dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario appassionato di cani. L’eco delle sue parole riecheggia tra i muri di cemento armato e si riverbera immediatamente sulla condizione del ricoverato dell’O.p.g., dell’internato del “manicomio criminale” ingabbiato in un canile dove gli si chiede di ritrovare l’equilibrio e di ricostruire quei limiti e quegli argini che egli ha irrimediabilmente perduto. L’O.p.g. è abitato da un popolo di combattenti, che hanno ingaggiato una lotta dura con la vita, che hanno inferto e subito grande sofferenza, ma che alla fine in tutti i casi hanno avuto la peggio.
È così che la domanda di partenza alla fine dello spettacolo risulta ribaltata: è possibile reinserire all’interno della cosiddetta società civile un ricoverato dell’O.p.g.?
La risposta è sì.
Rimane però inevaso un ultimo interrogativo che viene consegnato al pubblico irrisoloto: siamo sicuri che il “canile giudiziario” sia il luogo adatto per favorire questo processo?
«carceri, lo spazio è finito»
L’8 gennaio 2013
la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha condannato l’Italia
per il trattamento inumano e degradante di sette carcerati detenuti nei carceri
di Busto Arsizio e di Piacenza. La
Corte accusa l’Italia di violare i diritti dei reclusi
tenendoli in celle in cui hanno a disposizione meno di tre metri quadrati a testa.
Il nostro Paese deve pagare ai sette detenuti un totale di 100.000 euro per
danni morali ma, soprattutto, nel testo della sentenza della Corte europea dei
diritti umani si legge chiaramente l’invito al nostro Paese a porre rimedio
subito al sovraffollamento carcerario.
Il libro di Maria Falcone è un viaggio nell’Italia delle carceri. Un viaggio di denuncia senza attenuanti da parte di chi al recupero di chi ha sbagliato e paga il suo conto con la giustizia ha dedicato la sua vita e la sua professione.
Maria Falcone è laureata
in Scienze dell’Educazione presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca ed
è docente di scuola carceraria presso la Casa di Reclusione Rebibbia-Roma. Ha cominciato a
svolgere quest’attività nel 2000, all’interno dell’Istituto Penale per i
Minorenni “Cesare Beccaria” di Milano. Dal 2003, nel carcere di Monza, ha
ideato e condotto il gruppo pedagogico, un percorso di formazione pluriennale
finalizzato all’elaborazione della pena. Organizza e gestisce corsi per
l’insegnamento della lingua italiana agli stranieri e di Educazione
Interculturale.
don Daniele Simonazzi
Cappellano dell'Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Reggio Emilia, è parroco di Pratofontana, membro della Commissione Diocesana per il dialogo con l'Islam e sacerdote dell’Istituto Servi della Chiesa.
Violetta ha 17 anni, si accompagna con la chitarra e canta blues, country e traditionals scozzesi.
É cresciuta grazie ai consigli di Little Paul Venturi, dell'armonicista Giuseppe Zironi e del mitico batterista Oscar Abelli, mentre dal passato le sono arrivate ben chiare le lezioni di Menphis Minnie, Johnny Cash e Etta James. Di lei, il suo leggendario zio Oracolo J. King scrive: una luce sembra avvolgerla e proiettarla in un mondo lontano che riesce a far rivivere, incantando. Con i lunghi capelli sulla chitarra, Violet Queen canta l'America dei diseredati e dei senza dio, le strade, i fuorilegge e la ferrovia, i cuori infranti ed il confine con il Messico.... il Grande Sogno Americano.
don Daniele Simonazzi
Cappellano dell'Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Reggio Emilia, è parroco di Pratofontana, membro della Commissione Diocesana per il dialogo con l'Islam e sacerdote dell’Istituto Servi della Chiesa.
ore 19.00 > concerto di
Violetta Zironi
Violetta ha 17 anni, si accompagna con la chitarra e canta blues, country e traditionals scozzesi.
É cresciuta grazie ai consigli di Little Paul Venturi, dell'armonicista Giuseppe Zironi e del mitico batterista Oscar Abelli, mentre dal passato le sono arrivate ben chiare le lezioni di Menphis Minnie, Johnny Cash e Etta James. Di lei, il suo leggendario zio Oracolo J. King scrive: una luce sembra avvolgerla e proiettarla in un mondo lontano che riesce a far rivivere, incantando. Con i lunghi capelli sulla chitarra, Violet Queen canta l'America dei diseredati e dei senza dio, le strade, i fuorilegge e la ferrovia, i cuori infranti ed il confine con il Messico.... il Grande Sogno Americano.
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